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2013 – Fuori quadro (Autoritratto)
L’Autoritratto di Giulio Paolini – donato alla Galleria degli Uffizi tramite gli Amici – nella suggestiva lettura dell’artista
 
Quando e dove, chi è – o sarà mai – l’autore raffigurato in un’opera che scorre da un quadro all’altro e pare così riferirsi a un prima o a un dopo della sua apparente integrità?
Ancora una volta, mi preme riflettere e sottolineare la mia particolare concezione della figura
dell’artista, non inteso come individualità autonoma e originale ma come interprete perenne e impersonale di uno stesso immutabile ruolo: soggetto insostituibile, eppure invisibile, assume nomi diversi in epoche diverse. Presenza/assenza centrale nell’orbita ininterrotta della genealogia che
presiede alla storia dell’arte: storia come “conservazione della specie (della bellezza)”, nella contesa senza fine tra “l’essere e il non essere” dello stare al mondo.
L’attitudine dell’artista sembra ripercorrere gli stessi parametri che contraddistinguono  una vocazione, qualcosa d’impenetrabile e misterioso simile a un raptus o a un’ossessione. Non sono qui, né altrove … semplicemente non sono: l’artista non è “fuori dal mondo”, ma non è neppure “nel mondo”. Concepire un’opera non è qualcosa che ha “titolo” ad affermarsi, che si svolge al presente, ma qualcosa che si rivolge dal passato al futuro e innesta la memoria di un dopo.
L’artista non vuole parlare, comunicare in forma diretta, in tempo reale: non vuole imporre la sua voce ma ascoltare, cogliere un’eco … nulla da dichiarare, dunque, salvo il diritto di poterlo affermare, di osservare il silenzio senza essere costretti a giustificarlo.
La “verità” dell’artista non è dell’autore: è – già era – dell’opera. La verità dell’opera è quel dato preesistente,nascosto (un dato non dato) che tocca all’artista riconoscere e rivelare all’attesa del nostro sguardo. Un quadro si annuncia, ma non si compie. L’immagine che un’opera ci consegna non è qualcosa di formulato e definito per sempre, ma qualcosa che sempre ci perviene di ritorno.
Un quadro ci appare di solito come un’immagine conclusa, autonoma, spesso evidenziata da una cornice che sottolinea i limiti materiali di una visione, di un’unità di tempo e di luogo. Non ora, in questo Autoritratto, dove invece siamo rinviati a qualcosa di inafferrabile, indeterminato perché soltanto suggerito dall’incrocio delle diagonali che lo attraversano senza peraltro interferire con le tracce visibili sull’intera superficie dell’immagine.
 
Giulio Paolini