italiano    |    english
torna indietro
I Volti del Potere. La ritrattistica di corte nella Firenze granducale

Grandi viaggiatori, i Medici, almeno in effigie. Dopo un duplice tour negli Stati Uniti, eccoli tornati, stanchi ma felici, a Firenze, dove, grazie a Caterina Caneva, si ritrovano tutti, come in un meeting di famiglia attraverso i secoli, nella Sala delle Reali Poste, in una mostra che sarà inaugurata il prossimo 29 maggio. Forse, così riuniti, si raccontano le impressioni che hanno suscitato nei cittadini di Providence e di Philadelphia. I quali, ai tempi dei Medici, tante raffinatezze nemmeno se le sognavano. A loro bastavano un buon fucile, abiti robusti, case e chiese di legno e il pastore che nel sermone domenicale li invitava a onorare Dio e rispettare la legge. Chissà come avrebbero spalancato la bocca osservando i tessuti, le trine, i gioielli, le perle, i collari d'oro, le corazze sbalzate e le armi damaschinate. Avrebbero pensato che un paese tanto ricco da permettere ai suoi sovrani simili abbigliamenti doveva essere il regno della felicità per i sudditi. Invece no. Nel Seicento a Firenze il popolo stava male, molto male. C'erano miseria e disoccupazione, carestie e pestilenze. Un clero più interessato ai vantaggi materiali che alla cura delle anime spadroneggiava, favorito dapprima dalle granduchesse Cristina di Lorena, Maria Maddalena d'Austria e Vittoria della Rovere, poi, con forme di bigottismo addirittura patologico, dallo stesso granduca Cosimo III. La gaiezza, l'ottimismo, l'intraprendenza dei secoli precedenti si erano spenti. Quelli che oggi ammiriamo per la sontuosità, oltre che per la maestria pittorica con cui sono stati ritratti da Frans Pourbus il Giovane, Justus Sustermans, Alessandro Allori, Jacopo Ligozzi, Santi di Tito, Tiberio Titi, Sebastiano Bombelli, Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, oltre che dagli scultori Giambologna e Domenico Poggini e da altri pittori di minor fama, furono i simulacri di adulazioni e menzogne che presiedettero, pur con qualche merito nel campo artistico, musicale e scientifico, alla graduale discesa di Firenze dalle vette in cui era salita nel '400. Ci sono tanti modi per visitare una mostra. Quello che scelgo io, forse per la mia assidua frequentazione di quei personaggi sui libri di storia, e pur non restando insensibile alla magnificenza dei tessuti e delle decorazioni su cui Caterina Caneva, Stefano Casciu, Alberto Corti, Costanza Contu, Roberta Orsi Landini e Maria Sframeli invitano a concentrare l'attenzione, è di tentare di ritrovare nelle loro fattezze i caratteri che manifestarono nella loro esistenza terrena. Lo spazio non consente di passarli tutti in rivista, mi limiterò a due estremi. Ecco Maria, figlia di Francesco I e Giovanna d' Austria, che lo zio Ferdinando I offrì in sposa al re di Francia come contrappeso alla Spagna. Ribattezzata dai sudditi 'la balorda', dapprima favorì l'avventuriero fiorentino Concino Concini, salito in tale potenza che il nuovo sovrano dovette attirarlo in un tranello per farlo uccidere (i parigini furiosi lo dissotterrarono e un popolano ne mangiò il cuore). Poi suscitò guerre e congiure, favorì la Spagna e si rese talmente odiosa con i suoi intrighi e la sua invadenza che nessuno più la volle ospitare ad eccezione del suo pittore favo- rito, Rubens, nella cui abitazione di Colonia morì in uno stato prossimo alla miseria. Guardatela, non bastano le sue fattezze a parlarci della sua ottusità? Ed ecco il suo esatto contrario, il cardinale Leopoldo, che vediamo bambino, poi giovanetto e infine in età avanzata. Fu il migliore tra i fratelli di Ferdinando II e forse fra tutti i personaggi medicei del secolo. Amante dell'arte e della scienza, mecenate, cruscante, presidente e animatore dell'Accademia del Cimento, fu pio e non bigotto, galante ma non libertino, colto ma non pedante, coltivò gli studi ma non trascurò lo svago. Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell'anima, osservate il suo sguardo, vi parlerà delle sue virtù.

 

Massimo Griffo