"Primitive" ed immutabili
Le icone "grecomosche" delle Gallerie fiorentine sono in mostra alle Reali Poste per la consueta rassegna dei "Mai Visti". Citate negli inventari fin dall'epoca lorenese, già esposte in Galleria nel Settecento e poi collocate in altri musei, tornano tra le mura vasariane in virtù degli spazi in accrescimento del progetto Nuovi Uffizi
Per il consueto appuntamento natalizio con i Mai Visti promosso dall'associazione Amici degli Uffizi, quest'anno sarà esposto un nucleo di circa 70 icone di proprietà delle Gallerie fiorentine, che costituisce il più antico nucleo collezionistico di icone russe esistente fuori dal mondo ortodosso.
Varie per formato e iconografia, le icone risalgono a epoche diverse che vanno dalla fine del XVI secolo, momento nel quale furono eseguiti esemplari assai pregevoli come l'icona mariana nota come In te si rallegra ogni creatura e quella con la Decollazione del Battista, e la prima metà del XVIII secolo, periodo nel quale fu eseguito il maggior numero delle opere del gruppo. Le date 1728 e 1733, riportate rispettivamente sull'icona con la Madonna di Tichvin e sull'altra con la Madre di Dio Gioia di tutti gli afflitti, costituiscono anzi un importante termine cronologico per stabilire l'epoca dell'ingresso nelle collezioni del Granducato di Toscana, dove risultano citate per la prima volta in epoca lorenese, nel 1761, nell'inventario della Guardaroba. Particolare risalto era dato al Menologio, il calendario sacro dove, divisi in due tavole corrispondenti ai due semestri, sono raffigurati i santi celebrati in ogni festività dell'anno. Un esemplare simile, all'epoca creduto di epoca medievale ma in realtà datato 1659, si conservava nella collezione di icone esposta dal 1762 nel Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana, citato con orgoglio da Luigi Lanzi a confronto con il Menologio fiorentino.
Con la risistemazione della Galleria degli Uffizi promossa da Pietro Leopoldo, che comportò lo spostamento di intere branche del collezionismo mediceo e il trasferimento di molti capolavori agli Uffizi dalla reggia di Pitti, anche le icone “grecomosche” giunsero in Galleria per essere sistemate fra il 1771 e il 1782 nel Gabinetto delle pitture antiche, ubicato dove oggi si trova la sala 43.
Insieme ad una raccolta di 19 vetri paleocristiani e al mosaico col Cristo redentore oggi al Bargello, le icone erano una testimonianza della riscoperta delle antichità cristiane e della pittura delle origini, ed introducevano ai dipinti toscani a fondo oro come pure ai capolavori del primo di Rinascimento di Angelico, Paolo Uccello, fino a Botticelli. Questo insolito, ma innovativo guazzabuglio di opere “primitive” fu smantellato alla fine del XVIII per far posto ad un diverso ordinamento e le icone russe furono relegate nella villa di Castello, dove rimasero fino al XX secolo. Passate quindi a Palazzo Pitti e poi alla Galleria dell'Accademia, tornano nuovamente agli Uffizi, in virtù degli spazi in accrescimento del progetto Nuovi Uffizi.
La mostra intende pertanto valorizzare questo nucleo di opere spiegandone il loro significato nell'ambito della fede e della liturgia cristiana ortodossa, la loro funzione, le caratteristiche tecniche e artistiche. Ma si sottolineerà anche il loro legame storico con il museo, evocando per sommi capi la ricostruzione del Gabinetto delle Pitture antiche voluto da Luigi Lanzi e i successivi passaggi di queste opere nelle residenze fiorentine lorenesi e sabaude.
Daniela Parenti
La bellezza, la spiritualità e l'arte delle icone
Presenza essenziale nelle chiese di rito ortodosso, le icone per i fedeli erano, e sono ancora oggi, una porta che introduce nel Regno Celeste. Dai canoni iconografici “bizantini” si sviluppa un linguaggio pittorico russo, meno ieratico e reso più vivo dall'uso marcato del colore
Venerate ancor oggi da milioni di fedeli delle diverse chiese Cristiane d'Oriente, le icone suscitano nello spettatore occidentale sentimenti contrastanti: a fronte di chi le considera prodotti di un'arte stereotipata, austera, ripetitiva e priva di emozione, un numero sempre maggiore di individui vede in queste tavole dipinte delle vere e proprie opere d'arte, una sorta di ideali “relitti del tempo”, retaggi di un linguaggio artistico riconducibile a stilemi propri anche del nostro Medioevo. In effetti, entrambi i punti di vista si basano su considerazioni non facilmente contestabili e, forse, la chiave di lettura per comprendere la bellezza, la spiritualità e l'arte delle icone, e in particolar modo di quelle provenienti dalla Russia, potrebbe trovarsi proprio a metà fra queste due visioni diametralmente opposte.
Preziose indicazioni sull'importanza dell'immagine (in greco eikon) nel credo Orientale sono già presenti nella leggenda che riguarda le origini della fede cristiana in Russia, così come ci viene tramandata dal Manoscritto Nestoriano. Si narra che il Gran Principe di Kiev Vladimir I (poi divenuto “il Santo”) fu conquistato dalla bellezza di un'icona raffigurante il Giudizio Universale mostratagli da un monaco predicatore greco. Le fonti letterarie testimoniano che le tavole dipinte, giunte a Kiev con la diffusione del cristianesimo, non erano le prime poiché già nel 954 sua nonna Ol'ga, vedova del principe Igor, dopo il suo battesimo tenutosi a Costantinopoli aveva ricevuto in dono delle immagini sacre, che aveva portato con sé al suo ritorno in patria.
Legata a canoni e modelli della pittura bizantina coeva, quella della Rus' ben presto assunse caratteristiche peculiari, dando inizio a una ricca produzione artistica che si sviluppò con un linguaggio pittorico proprio, meno ieratico e severo, reso più vivo da un uso più marcato del colore. Gli esemplari più antichi tra quelli conservati ci parlano di una pittura su tavola anche di grandi dimensioni, funzionale all'arredo delle chiese che, essendo costruite per lo più di legno, erano inadatte a ospitare cicli decorativi eseguiti con le tecniche del mosaico o dell'affresco. La loro funzione non era solo didascalica o narrativa; per il fedele le icone erano, e sono ancor oggi, una porta che introduce nel Regno Celeste, una via privilegiata per entrare in contatto con il mondo spirituale attraverso la preghiera, tanto che questi dipinti rappresentano una presenza essenziale nelle chiese di rito ortodosso, assumendo un ruolo fondamentale anche nella liturgia.
Anche quando non ricorre nessuna particolare celebrazione l'icona domina la chiesa, poiché il fedele ha sempre bene in vista l'iconostasi, una sorta di parete che separa la navata dal santuario (bema), completamente ricoperta da una sequenza predefinita di icone disposte su più registri sovrapposti a creare un'ideale “summa theologiae” del cristianesimo ortodosso. Accanto alle icone di uso pubblico esiste un gran numero di opere destinate alla devozione privata: al pari del larario presente nelle domus d'epoca romana, le icone domestiche sono esposte con tutti gli onori nell'”angolo bello” dell'abitazione (krasni jugol, letteralmente “angolo rosso”), dove ricevono il saluto di un ospite ancor prima dei padroni di casa. L'icona accompagna il fedele russo in ogni momento importante della sua vita: quella del santo protettore gli viene donata al momento della nascita ed ha la stessa altezza del neonato; al momento di lasciare la casa natale, egli è benedetto dalla madre con l'icona, mentre la Madre di Dio di Kazan', una delle quasi 260 rappresentazioni diverse della Madre di Dio (presente nella collezione degli Uffizi e illustrata in queste pagine), è l'icona del matrimonio, donata agli sposi al termine della cerimonia nuziale e la prima a entrare con i coniugi nella loro casa, come “Signora del nuovo focolare”. Un'icona precede anche il corteo funebre e, sovente, è deposta sul petto del defunto all'interno del feretro.
L'opportunità che si avrà nel poter visionare per la prima volta tutte insieme le icone conservate nella Galleria fiorentina costituisce, proprio per la varietà dei temi illustrati, la possibilità di analizzare la produzione di una sola bottega e indagare, grazie alla presenza di altre significative icone, i modi espressivi dei principali centri produttivi della Russia ma anche gli stili e i differenti linguaggi che connotano questa particolare produzione artistica. Una chiave di lettura privilegiata, per comprendere la religiosità, la cultura e la storia del popolo russo.
Vincenzo Gobbo