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Grazie al sostegno dei Friends of the Uffizi Gallery, è stato possibile restaurare una delle opere più importanti della collezione di pittura straniera del XV secolo della Galleria degli Uffizi, il trittico con la Resurrezione di Lazzaro firmato dal pittore francese Nicolas Froment e datato 1461. Nonostante si tratti di un caposaldo nella ricostruzione del percorso artistico di questo maestro, prediletto da Renato d’Angiò e attivo soprattutto nella Francia meridionale, dove rimane nella cattedrale di Aix en Provence una grandiosa pala d’altare di sua mano, l’opera degli Uffizi rimane ancora oggi poco nota al pubblico, e si confida di poterla presto esporre nuovamente in galleria col progredire nei nuovi allestimenti.
Proprio in vista della prossima esposizione si è ritenuto opportuno procedere al restauro del trittico, la cui superficie pittorica si presentava oscurata da sporcizia e da una patinatura disomogenea, oltre che interessata da piccoli sollevamenti. Erano inoltre presenti ritocchi alterati, stesi in occasione di un restauro non documentato, eseguito probabilmente nei primi decenni del XX secolo; in questa occasione le tavole furono separate dalla cornice originale, poi modificata e ridipinta di nero.
Il dipinto è realizzato con la tecnica della pittura a olio, applicata su un supporto costruito con assi di quercia. I naturali movimenti del legno e l’abbondanza del legante presente nella pellicola pittorica hanno provocato la formazione di un minuto craquelé da ritiro , che nel precedente restauro era stato mascherato da ritocchi e da una patinatura che cercava di uniformare la stesura pittorica, alterandone tuttavia la cromia.
L’intervento di restauro, condotto dagli esperti restauratori Lucia e Andrea Dori, è stato
impegnativo ma ricco di soddisfazione e rivelatore di sorprese. La pulitura ha riportato in luce gli originali accostamenti cromatici, caratterizzati da cromie squillanti e raffinatissimi passaggi tonali. Il naturalismo minuto, l’attenzione per i dettagli che contrassegna la pittura transalpina emerge in modo eclatante nella raffigurazione delle vesti, delle fisionomie, degli animali, come pure in dettagli minuscoli osservabili solo ad uno sguardo molto ravvicinato, come le numerose figurazioni secondarie che popolano il paesaggio sullo sfondo, fra le quali compaiono anche una dama e un cavaliere intenti a giocare a scacchi.
Effetti ben diversi si osservano invece nel verso degli sportelli, dove prevale, accanto ai ritratti del committente Francesco Coppini e dei suoi dignitari, l’uso del monocromo, con
ombreggiature bluastre nel pannello con la Vergine e il Bambino, dovuto all’impiego di indaco;
in questo modo l’immagine sacra assume l’aspetto di una scultura di marmo, usuale per la
decorazione del lato esterno degli sportelli, come suggerisce anche il confronto con il trittico Portinari di Hugo van der Goes agli Uffizi. Le indagini condotte da Gianluca Poldi per individuare i pigmenti impiegati e la tecnica esecutiva, hanno rivelato l’esistenza di un raffinato disegno preparatorio sotto la stesura pittorica, con alcuni cambiamenti di ideazione intervenuti in corso d’opera.
Sorprese sono arrivate anche dallo smontaggio della carpenteria, che si temeva potesse essere in gran parte rifatta. È risultato invece del tutto originale lo splendido traforo che inquadra in alto i tre pannelli, a somiglianza delle architetture del gotico fiorito; nella tavola centrale, lo sfondo coperto da stesure cromatiche di colore rosso-arancio e verde simulano l’effetto di preziose vetrate colorate. Gli sportelli laterali conservano almeno in parte la cornice originale di colore blu scuro, tempestata da motivi decorativi simili a gioielli, mentre sul verso, è ancora leggibile, in basso, l’iscrizione originale con il nome del pittore e la data.
 
Daniela Parenti