Nel XVI canto della Gerusalemme Liberata, Armida viene abbandonata da Rinaldo, e da maga potente qual è, per vendicarsi chiama a sé schiere di diavoli in un sabba infernale. Il poema continua "S'empie il Ciel d'atre nubi, e in un momento/ Impallidisce il gran pianeta eterno:/ E soffia, e scuote i gioghi alpestri il vento:/Ecco già sotto i piè mugghiar l'Inferno". Cecco Bravo riesce, in questa tela, a condensare non solo l'episodio tassesco del sabba, ma soprattutto a rendere la complessa psicologia di Armida: la sua sensualità, il carattere indomito, la disperazione dell'abbandono, la panacea della terribile - e inutile -vendetta verso l'amato.
Il tema stregonesco, ma anche lo stile del dipinto, riflettono bene l'atmosfera culturale e artistica nella Firenze di Ferdinando II de' Medici, dove si erano diffusi interessi negromantici nei circoli intellettuali e negli ambienti artistici: soprattutto il napoletano Salvator Rosa, nel decennio trascorso a Firenze tra il 1640 e il 1650, con le sue Magherie aveva dato al filone un carattere non più morboso, ma anzi quasi trascendentale e filosofico.
Cecco Bravo in questo caso attinge a fonti che vanno ben oltre l'esempio immediato: i diavoli come serpenti agitati richiamano la Medusa di Caravaggio, e la bella Armida sembra in qualche modo risentire, nella posa, della Strega nella celebre incisione di Dürer. L'atmosfera tenebrosa e la pittura macchiata, materica, con larghe aree di denso colore bruno su cui si stagliano il corpo e i veli di Armida, o si accendono come tizzoni le pupille e le scaglie dei mostri, non sarebbe stata forse pensabile a Firenze prima dell'arrivo, con l'eredità di Vittoria della Rovere, di tanta pittura veneta e di Tiziano in particolare. Sembra che Cecco Bravo tuttavia attinga alla fase estrema dell'artista, quella della Punizione di Marsia di Kroměříž, dove la pittura data quasi a corpo disintegra il contorno e si fa ombra e luce, ma anche sostanza della raffigurazione, tanto che viene l'impulso di toccare la pelle viscida delle serpi, di bloccarne le contorsioni malefiche. Benché tagliata lungo il margine sinistro, dove probabilmente s'allungavano le propaggini dei mostri e la bacchetta magica, la tela di Cecco Bravo comunque amplifica la magia di Armida e sembra estenderla sull'osservatore, che si sente attirato nella scena e parte di essa. Un incantesimo che non ha mancato di sortire effetti anche nei generosi donatori, i Friends of the Uffizi Gallery, che allertati da Maria Vittoria Rimbotti, con fulminea decisione hanno proceduto all'acquisto dell'opera, proprio alla vigilia del compleanno di Cecco Bravo, il 15 novembre. With compliments, Maestro!
Eike D.Schmidt
(da Il Giornale degli Uffizi n. 20, Dicembre 2017)