E dopo il restauro, una sala agli Uffizi
La deposizione giovanile del Cigoli, esposta fino a pochi mesi fa al Cenacolo di San Salvi, dopo un intervallo di restauro finanziato dal gruppo VéGé, troverà stabile collocazione agli Uffizi in una sala di recente allestimento che sarà dedicata al Barocci e ai pittori riformati toscani.
Si potrà vedere fra poco in una sala degli Uffizi una grande Deposizione che è entrata nel patrimonio dei musei fiorentini nel 1783, ma che in Galleria non ha mai trovato luogo. Era esposta fino a pochi mesi fa nel Cenacolo di San salvi, dove all'esordio del passato decennio fu sistemata, per essere stata a giusta ragione reputata degna di figurare in un ristretto florilegio di pitture destinate a far da corona all'Ultima Cena del Sarto e ad altre opere di lui e del suo seguito. Stava in fondo al corridoio largo che porta al locale raccolto in cui sono appesi, come pezzi erratici di un'antica collezione, i bei marmi di Benedetto da Rovezzano per la sepoltura mai montata di San Giovanni Gualberto. Di fianco alla tavola, una breve didascalia recitava una generica attribuzione: 'Scuola fiorentina, metà secolo XVI'. L'ascrizione, ancorchè comprensibile, non convinceva: giacchè se da un lato erano palesi i recuperi della cultura figurativa del Pontormo e (in grado minore) del Rosso Fiorentino, quali poteva praticare un pittore loro conterraneo di una generazione o due più giovane, dall'altro erano non meno manifesti i segni di un'espressione che ormai presentiva il Seicento. Sicchè gli anni centrali del secolo, più che per l'esecuzione della grande pala d'altare, parevano buoni per la nascita del pittore che l'aveva dipinta. Non furono pochi gli artisti giovani che nella seconda metà del Cinquecento si formarono sul Pontormo. Ma di uno in particolare le fonti letterarie rammentano lo studio appassionato dei lavori di Jacopo; ed è il Cigoli. Del quale appunto il primo biografo, Giovan Battista Cardi, ch'era anche suo nipote, e - dopo di lui - il Baldinucci, serbano memoria di un giovanile Deposto di Croce (del quale s'erano perdute le tracce), che, a detta d'entrambi, sarebbe caduto in una stagione in cui ancor più ardente era la venerazione del Cigoli nei riguardi del Pontormo. E nella Deposizione già a San salvi (e ora agli Uffizi, in vista dell'ordinamento d'una sala dedicata a Federico Barocci e ai pittori riformati toscani che sulla Madonna del Popolo di lui s'educarono) decisamente pontormesca appare la figura della Maddalena, d'una fisionomia che la parente stretta di tante femmine di Jacopo; così come pontormesca è la siluetta sgusciante della Vergine, coi panni affusolati sulla gamba destra e ridondanti tutt'intorno, al pari di quelli gialli che s'aggrumano alle ginocchia di Maddalena. Più inclini ad accostarsi ai prototipi del Rosso parrebbero invece l'accorato Giovanni, soprattutto per via di quella mano grifagna, e il rosaloricato depositore sulla scala, che segaligno s'ingegna a dar mano agli altri più robusti suoi compagni di fatica. Ma questo è quanto stilisticamente si riscontra nel registro inferiore. Tutt'altra storia si scoprirà in quello di sopra, dove sembianze, affetti, languori e teatralità di gesti lasciano indovinare che coi tempi cè da spingersi oltre. E quasi par d'essere di fronte a un altro artista. E invece d'uno solo si tratta: magari ancora combattuto fra un'espressione più salda e unâ'altra più soffusa (quella oltre la ribalta): un pittore giovane, e dunque con retaggi ancora non ben decantati e nel contempo con intuizioni e propensioni per novità. Il che poi suona di conforto per l'ascrizione al Cigoli. Ascrizione che d'altronde può contare oggi anche sul ben robusto appiglio d'un documento (reperito in trascrizione settecentesca nell'archivio della Soprintendenza fiorentina), che attesta l'allogagione nel 1579 d'una pala, con un Deposto, da parte della Compagnia della Santa Croce di Figline 'Maestro Lodovico di Battista Cardi da Cigoli, Pittore nella città di Firenze'. E di questa Deposizione si parla in una carta del 1783 che ne certifica l'acquisizione degli Uffizi e la provenienza dalla Compagnia figlinese. Considerati i tempi in cui la pala fu dipinta - che son gli stessi dell'esposizione nella Pieve aretina della fulgida Madonna del Popolo di Federico Barocci (1579) - apparirà chiara la ragione per la quale se ne è deciso il restauro (generosamente finanziato dal Gruppo Vegà) e la sistemazione nella riallestita sala che farà perno proprio sulla monumentale tavola baroccesca. E per consentirne un'adeguata presentazione, gli 'Amici degli Uffizi' si sono assunti l'onere dell'incorniciatura, di cui l'opera era sprovvista, e che nei profili è stata disegnata di maniera che risultasse formalmente affine a tante ottocentesche salvadore che riquadrano pale d'altare antiche in Galleria.