Delicate trasparenze e sottili armonie
La Madonna di Fra Filippo Lippi torna agli Uffizi dopo il restauro. Ignota la committenza della preziosa tavola, celebre capolavoro della piena maturità del pittore carmelitano.
Una pittura chiara della piena maturità del pittore carmelitano. Una pittura chiara e luminosa, liberata dall'opacità delle antiche verniciUna delle 'icone' della Galleria degli Uffizi, paragonabile, per il richiamo che esercita sul grande pubblico, ai dipinti più celebri di Botticelli, è costituita, com'è noto, dalla Madonna col Bambino e due angeli, il dipinto più famoso al mondo del pittore carmelitano, in una collezione che annovera il maggior numero di dipinti dell'artista. La sua fama, va detto, risiede anche nell'infondata e 'romantica loconvinzione che nella Vergine siano eternate le sembianze di Lucrezia Buti, la monaca prima amante e poi moglie del frate, e nel Bambino quelle di Filippino, il figlio nato verso il 1457 dalla scandalosa relazione e destinato ad una fulgida carriera come pittore, non inferiore certo a quella del padre. La storia collezionistica dell'opera resta avvolta a tutt'oggi nel mistero e si compendia in un cartellino, tracciato a penna, sul tergo, che ne attesta la provenienza, il 13 maggio del 1796, dalla Villa del Poggio Imperiale, al tempo del direttore Tommaso Puccini e del granduca Ferdinando III d'Asburgo Lorena, e nel numero 558, tracciato a pennello, attribuitogli al suo ingresso in galleria, quando recava un'attribuzione dubitativa al Ghirlandaio. La mancanza di altri numeri d'inventario, presenti invece sul verso delle opere che vantano una lunga permanenza nelle collezioni fiorentine, potrebbe far pensare, piuttosto che ad una pertinenza originaria alla Villa, passata nel 1487 dai Baroncelli ai Pandolfini e, nel 1564, ai Medici, a un acquisto da parte dei Lorena, sul tipo di quello della Madonna del Granduca di Raffaello, acquisto di cui va, peraltro, cercata conferma fra le carte d'archivio. Ignota è, dunque, la committenza della preziosa tavola, per cui si sono fatte le più varie e infondate ipotesi, tendenti a coinvolgere anche i Medici del Quattrocento che furono dapprima estimatori e protettori del Lippi per disinteressarsene poi, costringendolo, come avvenne per altri artisti, a cercar fortuna fuor di Firenze, dapprima a Prato e poi a Spoleto, ove avrebbe concluso la sua esistenza nel 1469, mentre ne affrescava la cattedrale. Ed è il 1467, l'anno in cui il carmelitano aveva abbandonato la sua patria per la cittadina umbra, a costituire il terminus ante quem per l'esecuzione della tavola, che si data, in genere, nella piena maturità dell'artista, nella prima metà del settimo decennio del Quattrocento. Lo attesta indubitabilmente lo stile avanzato del dipinto, vicino alla Madonna col Bambino di Monaco e al tondo con la Madonna col Bambino della Palatina, vieppiù adesso che la recente, delicata pulitura eseguita magistralmente da Daniele Rossi nell'ambito del restauro finanziato dalla Kyoto International Culture and Friendship Association, per il tramite dell'Associazione Amici degli Uffizi, lo ha liberato da uno strato di vernici ingiallite e opacizzate che ne appiattivano il vamodellato e tradivano la profondità atmosferica del paesaggio che fa da sfondo alla finestra. L'intervento ci ha restituito una pittura chiara e luminosa, impostata su toni freddi, con largo impiego di azzurrite, nel manto della Vergine, nel paesaggio di sfondo e nel cielo, percorso da nuvole sfilacciate. Una pittura, va aggiunto, resa con pennellate liquide e come d'acquerello che hanno più a che fare con l'affresco, in cui il frate eccelleva e del quale aveva dato ottima prova nelle pitture di Prato, che con la tradizionale tempera ad uovo, in genere sostanziata con l'aggiunta di leganti oleosi. Le delicate trasparenze dei veli nell'elaborata acconciatura della Vergine, l'ovale dolce del suo volto, il Bambino imbronciato che vuole essere preso in collo, sorretto da un angioletto birichino con le ali posticce incollate sulla vestina bianca, costituiscono i precedenti diretti dello stile adottato nelle prime opere da un giovane Botticelli formatosi nella bottega del frate pittore, dalla Madonna di Capodimonte alla Fortezza e al prezioso dittico con Storie di Giuditta, entrambi agli Uffizi.
Alessandro Cecchi