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2009 - Cinghiale

Restaurato il "cignale greco"

 

Il recente intervento operato sul celebre "Cinghiale", opera di uno scultore attivo nel II-I secolo avanti Cristo, ha evidenziato la straordinaria resa naturalistica dell'opera, donata a Cosimo I da papa Pio IV

 

Alla metà del Cinquecento la statua raffigurante un cinghiale era stimata una fra le più belle di quelle che si conservavano a Roma. La tradizione storiografica accennava ad un gruppo statuario riferito alla caccia del cinghiale di Calidone ucciso dall'eroe Meleagro ed indicava Roma come luogo di rinvenimento, ora alle pendici dell'Esquilino, ora in una vigna di fronte a S. Lorenzo fuori le mura. Offerto a Cosimo I de' Medici dal papa Pio IV assieme ai cani molossi, il cinghiale viene nominato dal Vasari fra le statue che andarono a costituire a Palazzo Pitti, nella sala delle Nicchie, il primo nucleo museale mediceo. Nel grande incendio che devastò la Galleria degli Uffizi nel 1762, il cinghiale fu gravemente danneggiato assieme alle statue che si trovavano nell'ultima parte del Corridoio di ponente verso la loggia de' Lanzi. Fu deciso allora di provvedere solo al restauro del Laocoonte opera del Bandinelli, del Bacco del Sansovino e del cignale greco, tralasciando le altre statue antiche delle quali possediamo solo i disegni conservati nell'album dell'abate Benedetto de Greyss. L'appellativo utilizzato costantemente nei documenti dell'epoca, che faceva riferimento alla Grecia, sembrava quasi tradire la consapevolezza non solo dell'eccezionale qualità artistica ma anche della singolarità di questo monumento del quale, a differenza dei cani molossi, non esistono altre repliche. Se l'ammirazione per questo capolavoro della scultura antica non è forse mai venuta meno - grazie anche alla copia eseguita agli inizi del Seicento da Pietro Tacca per la loggia del Mercato Nuovo, diventata subito molto popolare, e grazie al fatto di essere stato esposto dagli anni Sessanta del XX secolo fino al 1996 nel vestibolo d'uscita della Galleria, l'atrio del porcellino - il restauro recente, dovuto alle sapienti cure di Paola Rosa e alla munificenza degli Amici degli Uffizi, ne ha restituito il pieno godimento. Liberato dai molti strati di cera e di sporcizia che ne ottundevano la superficie, il corpo dell'animale ha nuovamente acquistato quella straordinaria resa naturalistica che costituisce il suo pregio maggiore e che lascia presupporre un attento studio dal vero. Molti sono i dati nuovi e gli spunti di ricerca, ancora in fase di elaborazione e di studio, scaturiti nel corso delle operazioni di restauro. Innanzi tutto è stato possibile mettere in luce sotto la zampa sinistra un pezzo dell'appoggio originario che era stato coperto dal primo intervento cinquecentesco e poi dal gesso utilizzato per tenere assieme i frammenti della base durante il restauro, assai laborioso, compiuto nell'arco di quattro anni, subito dopo l'incendio. E' probabile che per effetto del fuoco il corpo dell'animale abbia subito nel collo e nella spalla alcune fratture orizzontali e parallele che non furono coperte con lo stucco e che sono state ora evidenziate. Il lavoro più grosso dovette senz'altro essere quello di ricostituire ed assemblare i pezzi della base, solo in minima parte antica, per poi collocarla sopra una robusta lastra di pietra serena sagomata alla stessa maniera: i bordi della base di marmo furono rinforzati anche utilizzando pezzi delle statue distrutte dall'incendio. Il sostegno a forma di doppia V collocato sotto il ventre nella parte anteriore del cinghiale, sicuramente moderno come dimostra la superficie accuratamente lavorata al di sotto, fu modificato ed ampliato durante il restauro settecentesco come dimostra il confronto con il disegno dell'album del de Greyss. Pirro Ligorio interpretò la posa del cinghiale come se fosse 'in atto di sentire i cacciatori, mezzo sollevato e mezzo con una natica in terra', e il Vasari come 'un porco cignale in atto di sospetto'. Questa impressione è avvalorata soprattutto dalle zampe anteriori rappresentate completamente diritte ed esageratamente allargate, che richiamano assai da vicino quelle dei cani molossi. L'attacco della zampa sinistra, assai poco naturalistico, con una resa del pelame che sembra enfatizzare le caratteristiche ritrose delle setole, lascia intravedere un pesante intervento di restauro che trova riscontro nella scalpellatura della lastra sottostante. La fiera selvaggia, la cui uccisione costituiva la prova di coraggio richiesta agli eroi e agli uomini di rango, stava forse in realtà per accasciarsi sul fianco sinistro, incalzata dai cani, con la zampa in parte già piegata e con la destra tesa in un ultimo disperato tentativo di resistenza, secondo l'iconografia più comune attestata nelle scene sui sarcofagi? Forse si tratta solo di una suggestione che nel caso dovrà essere dimostrata anche con il supporto delle analisi petrografiche: queste già in corso di esecuzione presso il CNR, sono state rese possibili per la prima volta proprio grazie a questo intervento di restauro. La qualità eccezionale di questa opera, che risalta maggiormente se confrontata con quella peraltro già assai elevata dei cani molossi, rimanda ad uno scultore attivo nel secondo-primo secolo avanti Cristo.

 

Antonella Romualdi