In questa elegante statua, dalle esili e slanciate proporzioni, si dovrà quasi certamente riconoscere la 'Diana con pardo' vista dal Vasari nella Sala delle Nicchie a Palazzo Pitti (Vasari-Milanesi 1906 pp. 183-184; per l'identificazione si veda Beschi 1995 p. 44).
L'opera, in possesso delle collezioni granducali almeno a partire dalla metà del XVI secolo, fu oggetto di una serie di meticolosi interventi di restauro e integrazioni protrattisi sino agli inizi del XVII secolo. Un conto di Galleria risalente al 1627, infatti, ricorda il pagamento per 'un orecchio alla tigre' versato allo scultore Francesco Mochi (Saladino 2008 p. 59), che intervenne su questo gruppo alcuni anni dopo il suo trasferimento in Galleria, avvenuto, probabilmente, già sul finire del XVI secolo (Cfr. Curti 1988 pp. 115-116 p. 135). Da altri scultori dovevano, invece, essere già state realizzate tutte le principali integrazioni, comprendenti, oltre alla testa e al collo, il seno sinistro, il braccio sinistro con la spalla, la mano destra e la gamba destra al di sotto del ginocchio. Riapplicata, ma pertinente, invece, la testa della pantera, con l'eccezione delle orecchie, una delle quali, come visto, da attribuire all'intervento del Mochi. Nonostante gli interventi moderni, che hanno comportato anche la perdita pressochè totale dell'antica superficie del marmo, l'iconografia originaria è ancora chiaramente leggibile. Ad essere raffigurata, in dimensioni leggermente inferiori al vero, è una giovane donna, vestita di una lunga tunica, che ricade con un mosso panneggio ai lati della figura. Il corpo è colto in rotazione, quasi nell'atto di compiere un passo di danza. La mancanza di confronti puntuali per l'iconografia proposta dalla scultura fiorentina, non consente di precisare se la donna stringesse qualcosa nella mano destra sollevata (una spada secondo Lippold 1950 p. 327), nè di ricostruire l'esatta posizione del braccio sinistro, reso dai restauratori moderni come nell'atto di carezzare sul capo la fiera posta alla sua sinistra, ma, in origine, più probabilmente piegato all'indietro a stringere un guinzaglio legato al collare del felino (cfr. Mansuelli 1958 pp. 134-135, n. 100). La singolarità dello schema iconografico fu rilevata anche dagli antichi commentatori, che stentarono a trovare un accordo sull'identità della donna raffigurata. L'interpretazione del gruppo come quello di una Diana cacciatrice, comunemente accettata nel XVI e XVII secolo, cedette il passo, nel Settecento, all'esegesi proposta dal Gori (1740 tavv. LVI-LVII) che riconobbe nella scultura una Baccante, ipotesi questa accolta con pressochè assoluta unanimità sino alla fine dell'Ottocento. Sarà per primo W. Amelung (1897 p. 70) ad avanzare l'identificazione con una ninfa, lettura poi ripresa dal Lippold (1950 p. 327, n. 2) che, oltre a ribadire l'assenza di espliciti attributi dionisiaci che consentissero di riconoscervi una Menade, ricollegò l'iconografia al mondo alessandrino sulla base della presenza di una pantera, animale utilizzato nel mondo egiziano per la caccia. Gli estesi restauri e la mancanza di diretti raffronti non rendono più semplice neppure l'inquadramento stilistico-formale. Le proporzioni estremamente allungate e l'audace impostazione del corpo, impegnato in un movimento avvitato su se stesso, rimandano alle esperienze di un ambiente scultoreo di avanzata età ellenistica, che Lippold identificava nell'Alessandria della metà del III secolo a.C. Nella valutazione della statua fiorentina non si dovrà, tuttavia, trascurare il ruolo del copista romano, che ha fortemente reintepretato in chiave eclettica il modello, tanto da rendere arduo qualsiasi tentativo di inquadramento dell'eventuale archetipo ellenistico. Le profonde rilavorazioni subite dalla superficie rendono, del resto, difficile fissare con precisione anche l'epoca di esecuzione della scultura. Il panneggio, per quanto incongruo, presenta infatti dei ricercati effetti di trasparenza, che lasciano intuire la qualità di un'opera da riferire, molto probabilmente, ad una buona bottega di primo periodo imperiale.