Nota già nella Roma della prima metà del XVI secolo, la scultura dovette essere oggetto proprio in quella città di una sistematica opera di restauro e integrazione che ha riguardato la testa, il braccio destro e i piedi della donna , oltre al muso dell’ippocampo e alla sua coda. Conservata per secoli a Villa Medici (nel giardino prima, negli ambienti interni del complesso dal 1731), l’opera fu ammirata sia da Luigi Lanzi che dallo scultore Francesco Carradori. Portata a Firenze nel 1780, la scultura fu sistemata nel III corridoio, dove ancora si trova.
L’opera, databile al I secolo d.C., è frutto di un pastiche caratteristico del gusto artistico romano che ha unito un tipo di Musa seduta, derivato dal repertorio medio e tardo ellenistico (III- II secolo a.C.), con la figura di un ippocampo. La scultura, di cui sono note anche altre repliche, era probabilmente pensata per la decorazione di una fontana.
L’incuria degli ultimi decenni, la polvere stratificatasi nelle pieghe della veste e negli incavi del corpo, nonché il progressivo degrado delle stuccature poste a saldare le diverse parti di resaturo avevano indubbiamente compromesso la lettura dell’opera, condizionando a tal punto il giudizio estetico da indurre gli studiosi a ritenere di integrazione anche la base della statua, dimostratasi, invece, proprio grazie a questi restauri, solidale con il resto della figura e, di conseguenza, antica. Il primo fondamentale contributo offerto dall’operazione di pulitura e restauro è stato proprio quello di definire una mappatura analitica e puntuale dell’opera, consentendo, per la prima volta, di apprezzare pienamente quale fosse l’entità dei restauri moderni. E’ partendo da questi dati che si è intervenuti con la pulitura delle superfici mediante l’uso di tensioattivi e di carbonati, intervenendo, nei casi di incrostazioni più tenaci, con bisturi e piccoli scalpelli per la rimozione delle superfetazioni. Parallelamente si è proceduto alla rimozione delle vecchie stuccature, abbassando dove necessario il sottostante strato di colofonia, e all’inibizione delle staffe metalliche in vista, mediante l’utilizzo di convertitori di ruggine. L’intervento ha così consentito di riportare alla loro originaria morbidezza le superfici originarie, senza compromettere le patine del tempo. I ritrovati passaggi di piano delle superfici e i delicati giochi di luce del panneggio confermano la fama di cui godette la scultura nei secoli passati, fornendo al contempo anche importanti elementi per una più corretto inquadramento cronologico del corpo che, per la sua elevata qualità formale, sembra senz’altro databile ancora entro il I secolo d.C.
Va, infine, ricordato il rinvenimento, in due punti del collo dell’animale fantastico, di tracce dell’originaria colorazione. I prelievi effettuati hanno infatti consentito di attestare la presenza di rossi a base di cinabro e di azzurri, ottenuti invece col carbonato basico di rame.
Fabrizio Paolucci