Appartenuta alla collezione Colonna e acquistata da Ferdinando dei Medici nel 1584, l’opera rimase a Villa Medici sul Pincio per oltre due secoli, prima di essere trasportata a Firenze nel 1787. Rielaborazione di un fortunato prototipo di Afrodite Pudica, la Venere Capitolina, la scultura possedeva senz’altro una valenza funeraria, come testimonia la presenza dell’amorino con la torcia rovesciata. Con ogni probabilità, la testa originale (quella attuale, infatti, è antica ma non pertinente) doveva essere un ritratto della defunta, effigiata, quindi, come dea della bellezza.
L’entità dei restauri è stata chiarita solo grazie al recente intervento di restauro. Si è così appurato che la torcia è senz’altro interamente moderna, come affermato in letteratura, ma si è potuto anche constatare come , su una piccola porzione della base, sopravvivesse l’estremità di una fiamma originale, certamente l’indizio grazie al quale i restauratori cinquecenteschi furono in grado di ricostruire la natura dell’attributo del piccolo dio. Anche le gambe, frettolosamente giudicate entrambe moderne nelle descrizioni edite, si sono dimostrate, in realtà, essere state ricomposte con frammenti antichi e pertinenti. Solo le braccia della dea, quindi, dovranno essere imputate allo scalpello degli artisti post antichi, uniche parti moderne di una scultura giuntaci, nel complesso, in un ottimo stato di conservazione.
Dopo decenni di incuria, l’operazione di restauro e di approfondita ripulitura delle superfici ha così consentito non soltanto di restituire ad una piena godibilità estetica l’opera, ma ha anche fornito importanti indizi per meglio comprendere l’entità dei restauri e le modalità adottate per favorire l’integrazione delle parti moderne. Utilizzando soluzioni di carbonato di ammonio per la rimozione delle vecchie stuccature, spesso eseguite grossolanamente e ormai in stato di avanzato degrado, si è potuto ricostruire con esattezza il profilo delle linee di frattura, giungendo alla realizzazione di un’accurata mappatura dell’opera con l’indicazione delle parti moderne e delle sezioni antiche. Si è inoltre realizzata un’attenuazione cromatica delle superfici mediante impacchi di acqua demineralizzata e di essenza di trementina, quest’ultima necessaria all’asportazione delle antiche patine cerose. Con mezzi meccanici (bisturi a lama intercambiabile) e apparecchiature ad ultrasuoni si sono invece eliminate le vecchie stuccature, sostituite con nuove integrazioni in polvere di marmo, eseguite a sottolivello.
In sostanza, gli interventi non hanno solo consentito di restituire alla sua originaria bellezza l’opera, facilitandone la lettura delle morbide superfici e fornendo preziosi elementi necessari ai futuri approfondimenti scientifici e allo studio di questa monumentale scultura di periodo medioimperiale.
Anche per questa scultura, si è provveduto a una campionatura delle superfici al fine di appurare la sopravvivenza di eventuali resti dell’originaria policromia. Purtroppo i ripetuti lavaggi della figura anche con acidi, hanno cancellato pressoché ogni traccia, ad eccezione, negli incavi delle trecce che ricadono sul petto, di alcuni resti di composti ferrosi, come l’ematite e la goetite, materiali sovente utilizzati in antico come preparazione per la stesura della cromia vera e propria.
Fabrizio Paolucci